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Omosessualità, omofobia, malattia. Chi è senza colpa, scagli la prima pietra

Con questo post inauguro il blog di uma.na.mente. Tengo a precisare che le idee espresse in questo e negli altri articoli sono  del tutto personali e non riflettono necessariamente la posizione dell’associazione sui temi trattati.

Parità di diritti per gli/le omosessuali ha (finalmente) sentenziato da poco la Cassazione italiana. Basta omofobia si legge e si dice sempre più spesso (per fortuna)  anche in Italia. L’omofobia è una malattia e va curata si legge infine in vari articoli e Tweets. Quest’ultima affermazione è davvero la logica conseguenza delle due precedenti ?

In tema di rispetto dell’omosessualità è proprio il caso di citare la frase evangelica “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Innanzitutto perché a tutt’oggi vi sono ancora persone, categorie, istituzioni e nazioni che tali pietre continuano a scagliarle. Non c’è purtroppo che l’imbarazzo della scelta. Privati cittadini, assessori, parlamentari, addirittura cattedratici, che fanno affermazioni omofobe, singoli o gruppi che insultano, pestano o addirittura ammazzano la/l’omosessuale o le/gli omosessuali, categorie che li discriminano, istituzioni ispirate ad evangelici principi di amore e carità quali la chiesa cattolica che li condannano come peccatori (ma solo se fanno sesso, se si astengono invece sono bravi/e ragazzi/e) e li discriminano nei riti religiosi (ma solo se l’omosessualità la proclamano o l’hanno proclamata, se invece la nascondono come un imbarazzante vergogna no). Per non dire degli stati che puniscono l’omosessualità con pene che arrivano fino alla condanna a morte (tra questi alcuni stati arabi che hanno fatto dei precetti islamici legge). Ora, gli psichiatri in questa amabile compagnia ci fanno sì una miglior figura, ma solo se rimuoviamo le loro (nostre) posizioni fino al 1973, anno in cui l’American Psychiatric Association, peraltro non senza conflitti e polemiche, rimosse l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, superando così la sua precedente definizione di omosessualità come disturbo mentale. Per non dire dei pregiudizi omofobi che a lungo hanno continuato a sussistere in diversi psicanalisti. Anche qui non è certo il caso di gridare allo scandalo né tanto meno di tirare pietre (agli psichiatri e/o agli psicanalisti in questione) per non essersi svegliati prima. La scienza, si sa, ci fa avanzare, aprire gli occhi ed andar avanti ma gli scienziati vivono nel loro tempo ed hanno bisogno di tempo per aprirli i loro occhi. È tuttavia giusto ricordare anche i nostri ritardi appunto perché nessuno scagli pietre…

Ma ora che finalmente gli occhi gli psichiatri, tanti cittadini, istituzioni e nazioni li hanno aperti, come andare avanti? Ben vengano  in Italia la sentenza della Cassazione e soprattutto una legislazione che consenta l’effettiva realizzazione di pari diritti per gli/le omosessuali, ben venga anche una legge contro la discriminazione per motivi sessuali dunque contro l’omofobia. Altrettanto necessarie sarebbero a mio avviso anche un’ educazione sessuale e civica che prima ancora aiutino i/le bambini/e ed i/le ragazzi/e a sviluppare un atteggiamento di rispetto e piena accettazione della diversità di genere innanzitutto (non è ancora purtroppo così) e della molteplicità di orientamento sessuale. Perché se le leggi devono rimediare alla ristrettezza ed insensibilità passata e proteggere da ingiustizie e soprusi gli omosessuali oggi, ancor meglio sarebbe se un’educazione aperta e corretta oggi rendesse le stesse leggi superflue (perché già vissute) nelle le generazioni future.

A questo punto è corretto ed utile etichettare l’omofobia come una malattia e richiedere la cura degli/delle omofobe? Si può certo sostenere che ogni fobia sia un disturbo anche se in questo specifico caso si tratterebbe di un disturbo percepito dal soggetto come egosintonico (avvertito cioè come parte integrante della propria personalità) e per lui/lei non affatto disturbante. Indubbiamente non sarebbe difficile individuare in un soggetto omofobico meccanismi di rimozione e di spostamento tali da fargli/le proiettare sugli/lle omosessuali quella angosciante parte di omosessualità propria che egli/ella in prima persona non accetta e non riesce a gestire. Ma se questi ed altri concetti psicoanalitici e psicodinamici possono aiutare a comprendere i meccanismi psichici dell’omofobia, non rischiamo ancora una volta, considerando gli/le omofobi/e in toto come malate/i, di cadere nella ben nota trappola psichiatrica della patologizzazione? Di aggiungere una nuova categoria diagnostica al DSM (giunto nel frattempo alle soglie della 5 edizione) dopo avervi tolto quella dell’omosessualità ? La psichiatria nel suo carattere meticcio di scienza bio-psico-sociale è molto affascinante ma subisce spesso (troppo spesso) l’irresistibile richiamo delle sirene ideologiche prestandosi a fare da presupposto scientifico anzi pseudoscientifico a consuetudini, atteggiamenti se non addirittura leggi o comportamenti che con la scienza hanno poco a cui spartire. Senza andare ad altre tragedie ed atrocità, basta la storia del difficile rapporto tra psichiatria ed omosessualità a raccomandarci prudenza nelle classificazioni e nei giudizi. La tendenza a patologizzare, che volentieri rimproveriamo alle case farmaceutiche, nasconde inoltre il pericolo della deresponsabilizzazione. Se l’omofobia è di per sé una malattia e come tale va curata (magari a carico dell’ASL), l’omofobo/a viene messo nella comoda posizione del/la paziente che aspetta la cura (pagata) dalla comunità per qualcosa di cui non è responsabile ma che avrebbe invece non meglio identificate cause bio-psico-sociali. È questo che vogliamo? Mettere l’omofobo/a nella stessa situazione in cui si trovava l’/la omosessuale decenni fa (ed in alcuni paesi ancora adesso) quando gli/le si richiedeva di curarsi dalla propria malattia per diventare “normale”? Certo l’omofobia, come qualsiasi altro atteggiamento mentale, può raggiungere talvolta un’intensità di rigidità, assolutezza, intolleranza, ai limiti della convinzione delirante, tale da rendere auspicabili provvedimenti terapeutici. Ma anche in tal caso, come sempre, decisive per la valutazione  sono le caratteristiche del singolo caso clinico non il contenuto in sé.

Personalmente sono dell’idea che l’omofobia, nella maggior parte dei casi e fatte salve le eccezioni appena citate, è un atteggiamento fondamentalmente libero e consapevole che reca però grave danno psicologico e morale agli omosessuali, ai loro familiari ed alla società intera. Sicuramente all’insorgenza dell’ omofobia contribuiscono fattori familiari, personali, sociali e culturali da cui l’omofobo/a viene influenzato. Ma la liberazione da tali vincoli ereditati fa parte di quel processo di maturazione “illuministica” e di individuazione che ci rende adulti consapevoli e come tali responsabili in prima persona delle nostre azioni e dei nostri giudizi. La liberazione dall’omofobia, che in piccola o grande parte alligna in noi, è primariamente sforzo e processo personale non cura imposta.

Giuliano Castigliego

Bibliografia minima:
Cantarella E., Secondo natura, La bisessualità nel mondo antico, BUR, 2ed BUR saggi, Milano, 2007
Lingiardi V., Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, Il Saggiatore, Milano, 2007
Rigliano P.; Graglia M. a cura di, Gay e lesbiche in psicoterapia, Raffaello Cortina, Milano, 2006
Rauchfleisch U., Schwule, Lesben, Bisexuelle. Lebensweisen, Vorurteile, Einsichten (Sammlung Vandenhoeck) (Schriften D. Sigmund-Freud-Inst. Reihe 2: Psychoanalyse Im Interdisziplinaren Dialog)

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