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L’amore fatale

Ian McEwan – L’amore fatale

Il romanzo di McEwan si ispira a una nota sindrome psichiatrica, conosciuta con il nome dell’autore che la descrisse : la sindrome di de Clérembault o erotomania . Nella parte finale del romanzo lo stesso autore costruisce una finta pubblicazione scientifica riferita alla sindrome suddetta descrivendone dettagliatamente la storia, le caratteristiche fenomenologiche e il caso del malato (Parry).

Il racconto si apre con un’immagine surreale a cui McEwan ci ha abituato nei suoi sorprendenti racconti e romanzi ( vedi “Bambini nel tempo o “Il giardino di cemento”) di un incontro casuale nella campagna di Oxford: alcune persone accorrono per impedire ad una mongolfiera di portarsi via, spinta dai capricci di un forte vento, un ragazzino, passeggero terrorizzato del velivolo, e si ritrovano testimoni della morte di uno di loro . Questo episodio slatentizza nella fragile mente di uno dei soccorritori, Parry, un “amore fatale” ( “enduring” nel testo originale inglese che meglio rende il carattere persistente di questa passione..) per il protagonista Joe, che viene travolto dalle attenzioni e dalle lettere di Parry in un escalation persecutorio con sparatoria finale.

Non si tratta del migliore scritto di McEwan, tuttavia, a mio avviso, due livelli di lettura lo rendono interessante: il primo è rappresentato dalla descrizione accurata e particolareggiata di come tale sindrome prenda corpo nella mente della persona colpita, a partire dalla fase della speranza, espressa con un amore appassionato, seguita dalla fase del risentimento e dell’odio furioso fino alla tremenda vendetta finale. Parry ci viene descritto nelle caratteristiche personologiche tipiche della sindrome come un fanatico religioso, orgoglioso e diffidente che, eccitato da un’esaltazione passionale, sviluppa la convinzione dogmatica di essere amato da Joe per volere di Dio. Inevitabile il riecheggiare della sofferenza del presidente Schreber, così magistralmente descritta da lui stesso e poi commentata da Freud, essendo tale patologia della stessa famiglia dei deliri sistematizzati cronici ( le paranoie) in cui la proiezione dei propri sentimenti nell’altro la fa da padrona.

Il secondo livello di lettura consiste nel tentativo, da parte dell’autore, di interrogarsi sull’amore e sui modi in cui nelle persone e nelle relazioni si può coniugare. In particolare, nel corso del romanzo vediamo dispiegarsi da una parte la potenza, o meglio l’onnipotenza, di un sentimento prodotto da una mente primitiva che non ha avuto , nel suo sviluppo la possibilità di accedere ed elaborare il dolore della separazione dall’altro da sé, ed è rimasta bloccata in un primitivo bisogno allucinatorio di fusione. Tale perentorio bisogno impedisce di riconoscere l’altro, con le sue caratteristiche e le sue esigenze, e spinge la mente a “inventarlo” e costruirlo a seconda delle proprie necessità. Mi riferisco qui appunto alle vicissitudini di Parry alle prese con un delirio erotomane resistente a qualunque confronto con la realtà (“ quello di Parry era un mondo determinato dall’interno, guidato da una necessità interiore, e in questo modo poteva mantenersi intatto. Non c’era niente che potesse sconfessarlo, perché niente poteva confermarlo”). Parallelamente McEwan descrive come menti più evolute, che hanno avuto la possibilità di un confronto doloroso con la realtà relativamente alla propria finitezza e alla propria profonda solitudine, con fatica e quotidiana dose di conflitto, si confrontino con il proprio bisogno e con la solitudine dell’altro, nel tentativo di incontrarlo attraverso un amore più realistico e pertanto più imperfetto e quindi molto meno “enduring”. Infatti il protagonista Joe, oggetto dell’interesse esclusivo di Parry, a sua volta si affanna nel corso di tutto il romanzo per mantenere una armoniosa lunghezza d’onda con la compagna Clarissa, non senza dolore e incomprensioni fino alla “resa” finale”. L’autore si dilunga nella descrizione della complessità e della fatica di un rapporto costruito sul confronto continuo tra i bisogni di un membro della coppia e quelli dell’altro, dei compromessi ma anche della gioia preziosa prodotta da una intimità costruita giorno per giorno con un paziente lavoro di ricamo relazionale.

Tra le righe del romanzo si possono leggere le storie di altri amori e della fragilità con cui si dispiegano nel corso della vita di personaggi secondari, nel tentativo di sottolineare come ognuno di noi sia vulnerabile alle prese con la propria necessità di amore e alla ricerca di un adattamento sempre in bilico tra la potenza dei nostri bisogni e desideri, la distorsione che questi generano sulle nostre percezioni e i dolorosi limiti imposti dalla realtà (“Viviamo avvolti dentro una nebbia percettiva in parte condivisa, ma inaffidabile, e i nostri dati sensoriali ci arrivano distorti dal prisma dei desideri e convinzioni che alterano persino i ricordi..se qualcosa non risponde ai nostri interessi, siamo portati a negarne l’esistenza”). Nonostante, dopo l’inizio fulminante, il romanza perda un po’ di forza di coinvolgimento, McEwan ci prende per mano e ci accompagna nei più reconditi nascondigli della nostra mente e della nostra capacità di “ascolto” interiore. Per questo vi consiglio di accostarvi alla sua scrittura, se ancora non l’avete fatto!

Recensione di Lucia Faglia


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